La numerazione greca


La numerazione attica

Questo sistema numerico molto antico, diffuso principalmente nella regione Attica, la penisola che ha come centro principale Atene, fino al V secolo a.C., era puramente basato su addizioni molto semplici. L’uno, per esempio, era rappresentato con un punto oppure un trattino verticale; veniva ripetuto fino a nove volte per rappresentare, precisamente, i numeri da uno a nove. A questo simbolo se ne aggiungevano altri appositi per il dieci, il cento, il mille.
Era però stato elaborato e veniva usato sempre con un numero limitato di simboli di valore costante e il problema era costituito dal fatto che questi segni, pressoché identici, venivano ripetuti in modo smisurato. Così nel IV secolo a.C. questa modalità venne ulteriormente semplificata con l’introduzione di alcune cifre speciali, come per esempio il 5 (5x1; 5x100, ecc.). Si ottenne così una prima evoluzione dei sistemi di calcolo dove si venne a ridurre il numero di segni usati che divennero 15 e non più 31 come era stato fino a quel momento.

Il sistema acrofonico

Si diffuse più tardi, sempre in Attica, all’inizio del VI secolo a.C, e rimase in uso per altri tre secoli. Per la prima volta comparirono le cifre dette acrofoniche, che altro non erano se non la prima lettera del nome del numero scritta nell’alfabeto locale, così come ancora oggi avviene negli alfabeti arabi o ebraici. Per esempio la cifra 1 era costituita da un tratto verticale (Ι), il 100 dalla lettera Η (Ἑκατὸν, 100), la lettera Μ per 10 mila (Μύριοι, diecimila). Vi erano poi dei simboli di valore intermedio rappresentanti da un segno di legatura delle due cifre principali, come per esempio 50.000 era scritto 5 per 10 mila (Γ×Μ) il cui risultato è, appunto, 50 mila. Questo sistema basato su grafismi più elaborati venne utilizzato soprattutto per indicare somme di denaro e le misure. In seguito si estese non solo al territorio della città di Atene, ma anche ad altre città greche, con numerose varianti nell’alfabeto dette epicoriche (locali). Queste furono poi sostituite dal sistema alfabetico ionico, che prese piede a partire dal V secolo a.C.


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Il sistema ionico

Furono gli abitanti della Ionia (una regione dell’Asia Minore colonizzata dai greci) i primi ad usare i numeri per comprendere meglio come funzionasse il mondo nel suo complesso, nonché a riflettere filosoficamente su cosa fossero i numeri stessi. Furono loro a inventare anche il nome della matematica, che in greco significa «conoscenza» ed anche «apprendimento». Pertanto i μαθηματικοὶ erano coloro che volevano sapere, conoscere, apprendere. Furono questi greci a trasformare un aggregato di conoscenze particolari, quelle appunto matematiche, in un corpo di sapere autonomo tale però da essere fondamento razionale di tutte le altre conoscenze.

Il sistema ionico si basa sulle 26 lettere dell’antico alfabeto di Mileto, che era la città principale della Ionia. La Ionia era situata in Asia Minore, vicino alla Mesopotamia, sulle rotte che conducevano in Egitto e in India. Gli abitanti di questa regione erano marinai e viaggiavano, così che incrociarono le loro competenze con quelle dei popoli coi quali commerciavano. La nuova numerazione fu introdotta ad Atene nel 403 a.C. (forse è più antica, poiché se ne trovano tracce a Mileto già a partire dal 700 a.C.) e prese quindi il nome di sistema numerico ionico, o modello ionico di Mileto.

Era un sistema di numerazione più semplice di quello attico e, a partire dall’età ellenistica, guadagnò terreno fino a soppiantarlo del tutto. Il sistema ionico, oltre ai caratteri correnti dell’alfabeto greco, utilizzava altre tre lettere più antiche: il digramma (ϝ) (tracciato più spesso come uno stigma), la koppa (ϟ) e il sampì (ϡ) (combinazione, quest’ultima, di una antica lettera dell’alfabeto ebraico con la lettera greca π). La scrittura di un numero si otteneva per giustapposizione di questi simboli, con un principio di posizione analogo a quello della numerazione decimale.

Col tempo le tre lettere qui sopra menzionate smisero il loro uso: il loro mantenimento nella numerazione è dunque un arcaismo che si spiega per la necessità di avere a disposizione tre volte nuovi segni diversi. In questo modo era anche possibile scrivere numeri più grandi di 999. Per le migliaia, fino a 9 mila, si precedeva uno dei numeri unitari con un apostrofo ('). Così ad esempio mille diventava 'α, mentre per le decine di migliaia si usava il simbolo Μ (320 mila era segnato come Mλβ.

I numeri greci erano decimali, cioè basati sulle potenze del 10. Le unità da uno a nove venivano assegnate alle prime nove lettere dell’antico alfabeto ionico (dalla α alla θ). Anziché riusare — come si faceva in tempi più antichi — questi nove numeri per formare i multipli di dieci, ad ogni multiplo di 10 fino al 90 fu assegnata un’altra lettera dell’alfabeto (dalla ι alla Ϟ [κόππα]). Ugualmente ad ogni multiplo di cento fino a 900 venne assegnata un’altra lettera (dalla ρ al ϡ [σαμπὶ]). Questo sistema alfabetico operava sul principio dell’addizione in cui i valori numerici delle lettere venivano aggiunti insieme per ottenere il totale. Per esempio, il numero 241 veniva rappresentato dalle lettere che simboleggiavano il 200, poi il 40 e infine l’1. Sebbene l’alfabeto greco fosse tracciato solo con la forma maiuscola, il ritrovamento di alcuni papiri risalenti agli egizi dimostrano che l’uso delle lettere corsive e minuscole ebbe inizio assai prima. Queste nuove forme di lettera sostituirono quelle vecchie già esistenti: la vecchia Ϟ chiamata κόππα, per esempio, iniziò a rompersi divenendo con l’uso più simile ad una G e poi infine prese la forma da noi più conosciuta del numero 4. La forma numerale del 6, inizialmente simile ad una F, cambiò svariate volte nel tempo. Un sistema specifico di calcolo venne poi usato per i testi omerici: Iliade ed Odissea vennero divise in libri, ognuno dei quali era indicato con una delle 24 lettere dell’alfabeto greco, scritte in maiuscolo se si riferivano all’Iliade e minuscolo all’Odissea.

Furono poi gli astronomi ellenici ad estendere il sistema numerale alfabetico greco facendone un sistema di numerazione posizionale. Limitarono ogni posizione ad un valore massimo di 50+9 che includeva un simbolo speciale, lo zero, che era anche usato in forma isolata così come usiamo oggi. Questa numerazione, che era puramente additiva, non necessitava di un elemento che era fino ad allora sconosciuto: lo zero. Il calcolo, quindi, basato sulla scrittura era impossibile, poiché resti e riporti sottostavano a regole molto complicate, tanto che si arrivò all’uso di gettoni appoggiati su tavolette in legno o marmo, divise in colonne. Nell’antichità, inoltre, per distinguerle dal resto del testo, le lettere utilizzate con un valore numerale venivano sottolineate. Con l’arrivo della stampa, a causa dei vincoli tipografici, la sottolineatura venne mutata in un segno unico posto a destra delle lettere numeriche e assomigliante ad un accento acuto. Questo accento era chiamato κεραία (corno). Il sistema di numerazione alfabetico esiste ancora oggi in Grecia, allo stesso modo delle cifre usate dagli antichi romani ed il suo funzionamento venne trasmesso agli alfabeti di molti altri popoli.

Lo zero veniva rappresentato sui papiri risalenti al secondo secolo come un piccolo cerchio con una lunga sbarra sistemata sopra. Con l’uso nei secoli la sbarra divenne sempre più corta fino a venire del tutto omessa. Questo graduale cambiamento da un simbolo inventato alla O non supporta infatti l’ipotesi che la lettera fosse l’iniziale della parola greca “niente”. Si continuò quindi ad omettere lo zero quando era considerato numero intero. Tolomeo (600 a.C.) fu il primo ad usare lo zero in maniera sistematica, adoperandolo nella sua tabella delle eclissi come unità di misura della separazione angolare tra il centro della Luna e gli altri centri del Sole o per contrassegnare i gradi del centro dell’ombra della Terra.

Fu poi Archimede (287-212 a.C.) colui il quale mise a punto un sistema per i numeri molto grandi. Nell’opera l’«Arenario», pensò di arrivarci mettendo a punto un sistema di calcolo ipotetico su quanti granelli di sabbia avrebbero potuto riempire l’Universo: il suo fine era quello di riuscire a trovare e rappresentare il numero più grande possibile e dimostrare che la successione dei numeri poteva continuare all’infinito. Al posto della numerazione decimale, quindi, iniziò ad usarne una basata sulla miriade. Dalla miriade alla miriade di miriadi, egli divise e ordinò i numeri in classi. La prima classe, chiamata dei numeri primi, comprendeva i numeri da 1 a 99 milioni 999 mila 999. A questa classe seguiva quella dei numeri secondi, terzi, quarti fino a raggiungere la miriade di miriadi, che divenne a sua volta la base di un nuovo sistema di numerazione. Archimede chiamò le classi periodi, in modo da poter arrivare a numeri sempre maggiori. Questo sistema venne studiato e perfezionato anche da altri matematici dell’epoca.


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NumeroIonico AcrofonicoCardinaleOrdinale
1αʹΙ εἷς, μία, ἕνπρῶτος, -η, -ον
2βʹ ΙΙδύοδεύτερος, -α, -ον
3γʹΙΙΙ τρεῖς,τρίατρίτος, -η, -ον
4δʹ ΙΙΙΙτέσσαρες, τέσσαρατέταρτος
5εʹΠ πέντεπέμπτος
6Ϛʹ ΠΙἕξἕκτος
7ζʹΠΙΙ ἑπτάἕβδομος
8ηʹ ΠΙΙΙὀκτώὄγδοος
9θʹΠΙΙΙΙ ἐννέαἔνατος
10ιʹ Δδέκαδέκατος
11ιαʹΔΙ ἕνδεκαἐνδέκατος
12ιβʹ ΔΙΙδώδεκαδωδέκατος
13ιγʹΔΙΙΙ τρισκαίδεκατρίτος καὶ δέκατος
14ιδʹΔΙΙΙΙ τέσσαρες καὶ δέκατέταρτος καὶ δέκατος
15ιεʹΔΠ πεντεκαίδεκαπέμπτος καὶ δέκατος
16ιϚʹ ΔΠΙἑκκαίδεκαἕκτος καὶ δέκατος
17ιζʹΔΠΙΙ ἑπτακαίδεκαἕβδομος καὶ δέκατος
18ιηʹΔΠΙΙΙ ὀκτωκαίδεκαὄγδοος καὶ δέκατος
19ιθʹΔΠΙΙΙΙ ἐννεακαίδεκαἔνατος καὶ δέκατος
50νʹΓΔ πεντήκονταπεντηκοστός
60ξʹΓΔΔ ἑξήκονταἑξηκοστός
70οʹ ΓΔΔΔἑβδομήκονταἑβδομηκοστός
80πʹΓΔΔΔΔ ὀγδοήκονταὀγδοηκοστός
90Ϟʹ ΓΔΔΔΔΔἐνενήκονταἐνενηκοστός
100ρʹΗ ἑκατόνἑκατοστός
200σʹΗΗ διακόσιοι, -αι, -αδιακοσιοστός
1000͵αΧ χίλοι, -αι, -αχιλιοστός
10000͵ιΜ μύριοι, -αι, -αμυριοστός
100000͵ρΓΜΓΜ δεκακισμύριοι, -αι, -αδεκακισμυριοστός